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Col tempo navigai sempre più lontano dalla costa fino a distinguere con sorpresa che c’era una sola cosa ad attrarmi del sesso: l’ossessione del desiderio. Ho imparato quindi a cercare e a trattenere il desiderio, a riconoscerlo quando l’ho addosso. Ma dura così poco: mi abbandona facilmente e mi lascia vuoto ad osservare gli altri agitarsi per comunicarmi il loro struggimento. 
Ma io non li sento, sono gusci vuoti, sprecano il loro tempo e non riescono a parlarmi. Cosa pensi sia la solitudine? E’ questa attesa fra uno sprazzo e l’altro, fra un errore e l’altro. Non è vero che sia il solo, l’unico sistema di confrontarsi col desiderio sessuale, ci sono persone che scelgono più o meno deliberatamente di amare sempre sé stessi in molte donne o uomini, di consumare compulsivamente il rapporto fisico , di mettere l’ennesima tacca sulla canna del fucile. Attendo che il desiderio mi appartenga altrimenti è inutile, non voglio partecipare all’amore come ad un evento mirabolante in cui compari per dovere d’esistere. Scelgo con un’attenzione estrema e sottile perché lo so bene che chi seduce in fondo perde spazio e diventa prigioniero di sé stesso… e nonostante tutto mi annoio. Ho imparato da ragazzo a percepire l’artefatto, la malizia ed ho conosciuto un sentimento mondato da questi orpelli solo due volte nella mia vita. 
Me li tengo stretti al corpo quegli odori e quei momenti quando la seduzione si svolgeva in un canto libero e senza necessità di presentarsi in un modo piuttosto che in un altro. Non mi è restato altro, non vedo altro. Non avrò altro.

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Se non si ha anima, se non si vuole vedere al di là dei propri confini regionali, se si preferisce sempre e comunque affidare il proprio destino intellettuale ad ideologie che parlano un dialetto che rinuncia a diventare lingua, in questo caso non tanto baracconi evidenti come Benigni o Sanremo diventano stucchevoli ma noi come insieme che fingiamo un abbraccio che diventerà mortale, e ci lascerà soli chi al di qua chi al di là di uno stretto.
Da molti anni a cicli, penso di aver compiuto una lunga traversata: i miei pensieri spettinati e costretti poi ad un educandato severo. Un supplizio! Scrivere è una liberazione, la mia: mi inchioda su un pensiero, mi addensa , finalmente, per un lungo e interminabile attimo è lei la mia padrona assoluta ed io il suo amante totale! Scrivere diventa la mia vita perenne, il senso definitivo che mi assolve dal peccato di fornicare coi giudizi altrui. E’ una mistificazione, ovviamente, un gioco degli specchi; nessuna traversata riesce ad allontanarmi dalla sensazione di colorati dejavù, il web è stracolmo di essi… così dopo aver scritto penso sempre che a queste righe non ne potranno seguire altre, che queste righe siano totali e intoccabili, sintesi perfetta della fine e del nuovo inizio: una clessidra e noi polvere là dentro.
Io NON amo la cultura occidentale che mi ha generato con i paraocchi e so bene quanti roghi si sono accesi nel vecchio continente dal medioevo in poi: io non voglio ritornare a quella stagione dell’umanità, voglio leggere tutto e di tutto, voglio continuare ad ascoltare la musica del vecchio e del nuovo continente, voglio ammirare senza vergogna i maestri del rinascimento italiano, commuovermi davanti ad un Tiziano o un Raffaello o un Caravaggio o davanti ad un cupola del Bernini.