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Rispetto la scrittura perchè meno effimera e trasformista della parola e spero che di molte cose scritte nel tempo non si perda il senso e la memoria sia che esse vengano vergate sulla Costituzione di uno stato nascente o sulle pagine di un testo sacro o su quelle virtuali di un blog. Me la tengo stretta questa speranza, essa sta diventando un trastullo per pochi intimi.
Trentacinque anni fa non avrei mai scritto questo post (anche perchè la rete e i blog non esistevano). Trentacinque anni fa leggendo il passato vedevo il presente e, pur con qualche dubbio, me ne compiacevo, era un’altra Italia, un incedere diverso sulle strade della vita, un modo ormai sconosciuto di affrontare ciò che viene comunemente detto il “retaggio del passato”. Fu un’eredità difficile e scomoda: perdemmo una guerra in cui mai avremmo dovuto entrare e lo facemmo con un armistizio separato semplicemente ridicolo diventando da un giorno all’altro alleati dei nostri avversari e viceversa. Una cosa inaudita, un bizantinismo furbetto che ancora pesa sulla nostra reputazione in campo internazionale. La guerra tracimò in una sanguinosa guerra civile, misconosciuta e negata per molti decenni in seguito, la guerra civile non poteva che lasciare ostilità e feroci risentimenti da una parte e dall’altra. Il referendum fece quel che poteva e mostrò palesemente la spaccatura che divideva il paese in due.
Erano le notti tra il 2 e il 3-4 giugno 1946: Referendum Monarchia- Repubblica , spoglio finale: Monarchia 10 milioni e 362 mila voti, Repubblica 12 milioni e 182 mila voti. 



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Se non si ha anima, se non si vuole vedere al di là dei propri confini regionali, se si preferisce sempre e comunque affidare il proprio destino intellettuale ad ideologie che parlano un dialetto che rinuncia a diventare lingua, in questo caso non tanto baracconi evidenti come Benigni o Sanremo diventano stucchevoli ma noi come insieme che fingiamo un abbraccio che diventerà mortale, e ci lascerà soli chi al di qua chi al di là di uno stretto.
Da molti anni a cicli, penso di aver compiuto una lunga traversata: i miei pensieri spettinati e costretti poi ad un educandato severo. Un supplizio! Scrivere è una liberazione, la mia: mi inchioda su un pensiero, mi addensa , finalmente, per un lungo e interminabile attimo è lei la mia padrona assoluta ed io il suo amante totale! Scrivere diventa la mia vita perenne, il senso definitivo che mi assolve dal peccato di fornicare coi giudizi altrui. E’ una mistificazione, ovviamente, un gioco degli specchi; nessuna traversata riesce ad allontanarmi dalla sensazione di colorati dejavù, il web è stracolmo di essi… così dopo aver scritto penso sempre che a queste righe non ne potranno seguire altre, che queste righe siano totali e intoccabili, sintesi perfetta della fine e del nuovo inizio: una clessidra e noi polvere là dentro.
Io NON amo la cultura occidentale che mi ha generato con i paraocchi e so bene quanti roghi si sono accesi nel vecchio continente dal medioevo in poi: io non voglio ritornare a quella stagione dell’umanità, voglio leggere tutto e di tutto, voglio continuare ad ascoltare la musica del vecchio e del nuovo continente, voglio ammirare senza vergogna i maestri del rinascimento italiano, commuovermi davanti ad un Tiziano o un Raffaello o un Caravaggio o davanti ad un cupola del Bernini.